di Redazione
Questa recensione è comparsa sul numero 65 di Nuovi Argomenti (gennaio/marzo 2014), nella «Rassegna di narrativa italiana» curata collettivamente dalla redazione di 404: File Not Found.
Terra Ignota – Il Risveglio (Mondadori, collana Chrysalide, ottobre 2013), prima fatica del nuovo Vanni Santoni HG, è il primo volume di una trilogia fantasy. Ultimo venuto di numerosi e diversificati progetti, Terra Ignota è un romanzo di genere à part entière, sorprendente e affascinante. La trama è quella tipica del romanzo di formazione in chiave fantasy, con una quête accidentata e il progressivo rafforzamento interiore e fisico della protagonista. Quest’ultima, Ailis, non assomiglia granché alla Alice (il nome è un omaggio esplicito) di carroliana memoria, ma − per fortuna − nemmeno alle sue numerose varianti dark e gothic. A dire il vero, questa Ailis che viaggia in un paese fantastico e molto poco meraviglioso ricorda un’altra eroina, lei sì irruenta e dalla forza straordinaria, il cui nome inizia per A: Battle Angel Alita, la ragazzina cyborg che si muove in un mondo distopico di origine, ovviamente, nipponica. E infatti le scene di combattimento del romanzo possiedono quella rapidità immaginifica che poco si confà al lento e maestoso incedere delle battaglie fantasy. Di fatto, appaiono come divise in riquadri di fumetto, a volte a pagina intera, ma più spesso focalizzate sulle azioni dei personaggi, veloci come disegnate, tratteggiate nell’indispensabile. Berserk, Alita, ma anche il primo Dragon Ball. Santoni rivela padronanza e maestria nella costruzione delle scene di combattimento: l’attesa, lo studio, l’ingaggio e la serie di mosse e contromosse, di un corpo a corpo, di uno contro uno che si può rapidamente mutare in un molti contro molti, in una felice dissolvenza del manga nell’epico e dell’epico nella chanson de geste medievale.
Ne risulta inevitabilmente un pastiche, una narrazione infarcita di riferimenti più o meno espliciti, tratti dai precedenti del genere (Il Signore degli Anelli è citazione obbligata, anche se non cercata, data la sua imponenza nell’immaginario fantasy del lettore non specialistico) e dallo stigma generazionale delle letture nipponiche. Le fonti più “alte” (Eliot, i cicli bretoni, Huxley, Il ramo d’oro, Calvino, etc.) sono a volte evidenti, a volte nascoste, ma non soverchiano mai l’impianto generale del romanzo, che è e rimane, per temi, tempi e stile, un fantasy pensato in una trilogia.
In Terra ignota, insomma, agiscono due forze non sempre conciliabili. Da un lato Santoni ha inteso giocare secondo le regole del genere, perlomeno nella sua declinazione post-tolkieniana. Dall’altro ha tentato di ricongiungere lo stesso genere con le sue lontane radici mitiche o fantastiche. E proprio dalla leggera frizione fra questi due livelli scaturisce quello che è forse l’unico limite del romanzo. Le citazioni “alte”, che dovrebbero permettere di estendere la materia narrativa oltre i confini del genere, si limitano spesso a innervare la superficie del testo con riferimenti che tentano sì di nobilitarlo, ma in un modo un po’ ambiguo, perché finiscono per incapsulare l’idea che il fantasy abbia bisogno di un qualche sostegno (che serva la letteratura “alta”, insomma), e che però questo sostegno possa spesso ridursi a qualcosa di esterno che non tocca le strutture portanti del racconto. In definitiva, sembra essere mancato un po’ di coraggio a monte: quello di tentare qualche reale infrazione del genere (per esempio, rompendo la struttura di romanzo di formazione), oppure di fare del tutto a meno di qualsivoglia stampella modernista.
Ogni impressione andrà ovviamente confermata dopo la lettura delle altre due parti, ma per quel che riguarda Il Risveglio, il libro funziona ed è più che godibile. È un fantasy che può essere letto anche da chi un fantasy non l’ha mai letto, e non ci sembra poco.
